Tutti noi abbiamo sperimentato cos’è la rabbia. Scatenata magari da una grave ingiustizia, una gratuita aggressione verbale (o anche fisica), un’espressione ingiuriosa o, più semplicemente, da una parola di troppo.
Indipendentemente dalla gravità della “provocazione”… in quella occasione siamo “andati di matto”, perdendo il lume della ragione e reagendo in maniera spropositata.
Questo genere di impulso può essere così improvviso, intenso e parossistico, da degenerare in violenza, passando per una vera e propria perdita della “capacità di intendere e di volere”.
Ma la rabbia può anche spingerci a gesti autolesivi: in questi casi la frustrazione e l’aggressività vengono scaricate contro noi stessi.
La collera può anche manifestarsi non soltanto in maniera “esplosiva”, distruttiva e sconsiderata ma anche in maniera subdola e “passiva”.
In questi casi essa si manifesta con atteggiamenti elusivi, manifestazioni di (finta) indifferenza e di distacco che però “corrodono” lentamente lo “spirito” dell’iracondo, compromettendo sempre di più il suo equilibrio emotivo e mentale.
Possono le arti marziali aiutarci a gestire la rabbia?
Sì, però occorre fare qualche considerazione.
Se una persona è predisposta alla rabbia, un’arte marziale “aggressiva” può facilmente diventare esibizione di potenza o, di contro “debolezza mascherata” (in attesa della “rivalsa”).
Per imparare a gestire le emozioni negative occorre una disciplina connotata da una grande valenza “meditativa”. Più che la tecnica e la ricerca dell’efficacia, va focalizzato l’ascolto corporeo, il rilassamento, il controllo dell’equilibrio e della postura e, in maniera particolare, la consapevolezza sul respiro.
La capacità di ascolto corporeo “disinnesca” l’ansia, la rabbia e le frustrazioni. Ciò va poi riportato nella vita quotidiana: quando si è in coda alle poste, quando si discute a una riunione di condominio, quando si riceve in ufficio una “lavata di capo” (magari ingiusta o gratuita).
Il Taiji, come molte altre discipline simili, è però soltanto uno strumento. Facendo Taiji non si risolve “automaticamente” il problema della gestione della rabbia o delle altre emozioni negative. Più semplicemente: “si impara a conoscere meglio se stessi”. Si impara a coltivare un certo tipo rilassamento che però è molto diverso da ciò che la maggior parte delle persone associa alla parola ‘rilassamento’ (nulla a che vedere con l’essere “moscio”,”fiacco” o “sbracato”).
Il rilassamento di cui parliamo richiede grande impegno mentale e fisico. Viene ottenuto attraverso la ricerca della postura ottimale e dall’«eutonia» dei muscoli. Comporta un processo di rieducazione psicomotoria volto ad armonizzare la funzione tonica con quella cinetica al fine di raggiungere un autentico dialogo mente/corpo. Si tratta di impegnarsi in una ricerca nella quale si dovrà coltivare una mente calma e ferma.
Sviluppando la connessione tra la mente e il corpo, riusciremo a comprendere noi stessi a un livello più profondo.
Occorre pertanto imparare a rilassarsi profondamente, pur bilanciando questo rilassamento con l’intenzione tipica di un’arte marziale. Comprendere l’intento combattivo di ogni movimento e percepire la sensazione di colpire o proiettare qualcuno mentre si continua a rimanere perfettamente rilassati fisicamente e mentalmente.
È un equilibrio difficile da raggiungere, ma se si raggiunge… non saremo mai più schiavi di nessuna emozione negativa.
La forza della rabbia, dell’ansia e dell’inquietudine verranno disperse come la forza dell’avversario nell’esercizio della “spinta con le mani”.
Attireremo questa forza e la devieremo, facendola dissolvere nel nulla, cosìcché il suo effetto andrà completamente perduto.