ENERGIA, STRUTTURA E TENSEGRITÀ
L’effetto è evidente la causa no!
Come si fa a spiegare il modestissimo impegno muscolare del Taiji con l’enormità dei suoi effetti meccanici?
Come si riesce a scagliare via un avversario due o tre metri più in là senza ricorrere alla forza muscolare?
Da dove viene l’energia che sbalza da terra un aggressore o lo percuote facendolo collassare?
Sono queste le domande alle quali cercheremo di dare una risposta comprensibile e “scientifica”.
Un maestro cinese, per spiegare l’origine dell’energia che contraddistingue il Taiji, direbbe che: “l’energia proviene dalla rotazione del dantian e dalla mobilizzazione del Qi che sostituisce l’uso della forza bruta”. Questa risposta scontenterebbe probabilmente tutti coloro che non hanno alcuna dimestichezza con le basi teoriche del Taiji Quan e magari gradirebbero una risposta più… concreta, una spiegazione più congeniale al senso comune.
D’altra parte aver fatto l’esperienza di cosa sia il Qi, l’energia interna che è anche alla base della Medicina Tradizionale Cinese, è poco comune e non basta aver letto qualcosa sui libri o aver praticato per poco tempo un’arte marziale “interna”. A tal proposito ricordiamo che un maestro, pur grande, di Taiji Quan, Ma Yueh-Liang (1901-1998), ha affermato di aver impiegato ben 20 anni per comprendere cos’è effettivamente il Qi e altri 30 per imparare a “guidarlo”.
Appare quindi imprudente parlare di Qi se gli interlocutori ne hanno soltanto una vaghissima idea. A volte anche un cinese, per quanto colto, ha delle grosse perplessità a comprendere certi principi teorici della nostra disciplina, tant’è che il buon Yang Chenfu (uno dei “padri” del moderno Taiji) ripeteva spesso a un suo celebre allievo: “Se non te lo spiegassi io… neanche in tre vite lo capiresti!”. L’allievo era Cheng Man Ch’ing, il maestro che ha portato il Taiji Quan in Occidente.
Una spiegazione basata sul principio della tensegrità
Per comprendere l’origine della misteriosa forza usata nel Taij vediamo di ricorrere allora a un’altra spiegazione, che ci viene sempre dalla tradizione e che ci dice che: “l’energia nasce dai piedi, si muove attraverso le gambe, viene diretta dalla schiena ed emanata dalle dita…”. Attorno a questa definizione possiamo cercare di costruire un ragionamento.
Tempo fa un allievo molto diligente, cercando di rappresentare con un esempio le caratteristiche che doveva avere il nostro corpo assumendo la posizione del “palo eretto” disse che per lui ci si doveva ispirare a una tenso-struttura, come quelle che si usano negli impianti sportivi. L’esempio colpì l’immaginazione di noi tutti, che plaudimmo a questa “immagine” (a volte un’immagine è più potente di mille parole…). Io dissi che, non solo ero d’accordo con lui, ma che reputavo questo principio valido anche per tutte le figure della forma e, in generale, per tutta la pratica del Taiji Quan.
Noi sappiamo che nel Taiji Quan per produrre un effetto meccanico (spinta, percussione, ecc.) si fa molto affidamento sulla “struttura” e sulla “connessione” dell’intero corpo. Nelle scienze applicate i problemi che riguardano la struttura dei corpi sono di pertinenza di discipline come l’ingegneria, l’architettura e la meccanica (e della biologia per i corpi “vivi). In tutte queste discipline si parla di TENSEGRITÀ.
ll termine tensegrità deriva dalla combinazione delle parole “tensile” ed “integrità”. In pratica caratterizza la capacità di un sistema (un ponte, un grattacielo, il citoscheletro di una cellula…) di stabilizzarsi meccanicamente tramite forze di tensione e di decompressione che si ripartiscono e si equilibrano fra loro.
I vantaggi della struttura di tensegrità sono:
– la leggerezza: a parità di capacità di resistenza meccanica; una struttura di tensegrità presenta un peso ridotto della metà rispetto a una struttura “a compressione”;
– la resistenza dell’insieme supera di molto la somma delle resistenze dei singoli componenti;
– la flessibilità del sistema è simile a quella di un sistema pneumatico (e nel Taiji si ricorre spesso all’immagine della “palla”, che viene usata come efficace metafora ma anche come pratico esempio).
Questa flessibilità fa sì che l’effetto prodotto da una deformazione locale, determinata da una forza esterna, viene assorbito da tutta la struttura che così ne minimizza l’esito e consente una considerevole capacità di adattamento reversibile ai cambiamenti di forma in equilibrio dinamico (chi è bravo nel tui shou, la “spinta con le mani”, molto probabilmente ha già afferrato il concetto…)
– l’inter-connessione meccanica e funzionale di tutti gli elementi costitutivi, consente poi una continua comunicazione bidirezionale a tutti gli elementi della rete strutturale.
Nel caso del corpo umano, i principali elementi che formano la nostra struttura di tensegrità sono costituiti dalle famose 9 perle di cui parlano tutti i testi di Taiji Quan e che corrispondono ad altrettanti “snodi” dell’apparato muscolo-scheletrico.
Le nove perle, disposte lungo l’intelaiatura del corpo, possono essere elencate considerando quattro gruppi funzionali del nostro apparato muscolo-scheletrico.
La colonna:
1° collo
2° zona dorso-lombare
3° osso sacro (che si articola nel bacino con l’articolazione sacro-iliaca )
Le braccia:
4° spalla (articolazione scapolo-omerale )
5° gomito
6° polso
Le gambe
7° anca (articolazione coxo-femorale)
8° ginocchio
9° caviglia
Le nove perle costituiscono quindi i “giunti” della nostra struttura, analoghi agli elementi che interconnettono una struttura artificiale come un ponte o un edificio, ma, contrariamente a qualunque oggetto inanimato fanno parte di un “sistema”, quello umano, molto più mobile e versatile.
La tensegrità, non importa se applicata al corpo umano o a un grattacielo, è quindi la capacità di una struttura di stabilizzarsi meccanicamente tramite forze di tensione e di compressione che si ripartiscono e si equilibrano fra loro.
E, come abbiamo visto, il nostro apparato muscolo-scheletrico può essere considerato a ragione come una tale struttura, in quanto costituito da elementi distinti sottoposti a forze di compressione (che muovono in direzione del basso, assecondando la forza di gravità ) e da elementi continui sottoposti a sforzi di tensione (che muovono in direzione ‘fuori-alto’).
La funzione pratica del rilassamento nell’emissione di forza
Nel Taiji Quan compressione e tensione sono rispettivamente amplificate dal rilassamento muscolare e dall’allungamento tendineo. Per comprendere, pur in maniera grossolana e generica, l’emissione di energia nel Taiji Quan, proviamo a immaginare come la struttura/corpo, guidata dalla mente, incrementi repentinamente il rilassamento muscolare tanto da “cedere di schianto dall’interno”, senza compromettere però minimamente il suo allineamento posturale; di quanto cede? Basta qualche centimetro o anche meno.
Questo “crollo controllato” richiede una coordinazione motoria straordinaria e una perfetta connessione fra le varie parti. Un armonioso effetto a catena interessa quindi, prima in discesa e poi in risalita, tutte le maggiori articolazioni. Il risultato è paragonabile a un “micro-terremoto” che crea una sorta di “onda sismica” di tipo sussultorio (dal basso verso l’alto); partendo dal terreno sotto i piedi ed attraversando le gambe, l’onda di rimbalzo giunge al “core” e cioè il complesso addomino-lombo-pelvico che costituisce il centro di tutte le catene cinetiche muscolari (anatomicamente è una zona non delimitata al solo “dantian”). A questo punto l’onda può essere propagata in maniera “ondulatoria” attraverso un’estensione elastica che interessa il cingolo scapolo-omerale e gli arti superiori, messi in connessione attraverso la seconda vertebra toracica (T2) e la settima cervicale (C7): nelle pratiche taoiste queste ossa sono considerate punti attraverso cui la forza passa per arrivare a braccia e mani (e la biomeccanica non ha nulla da obiettare). L’onda viene poi trasferita attraverso le mani alla struttura dell’avversario, che così può essere scaraventato via o percosso con un’intensità spaventosa. Il dispendio muscolare di chi emette questo tipo di energia è quasi irrisorio ma la forza generata è enorme. Il principio generale è abbastanza semplice: nel Taiji Quan il corpo funziona essenzialmente come conduttore elastico della forza del terreno. Padroneggiare questo principio e applicarlo correttamente nelle sue diverse “varianti” richiede però molti anni di pratica diligente.
Non solo muscoli e tendini: l’importanza della fascia connettivale
Un ruolo importante nel miglioramento della connessione strutturale e nell’espressione della forza elastica viene rivestito dalla fascia.
In anatomia, per fascia si intende una struttura di tessuto connettivo che ricopre i muscoli, gruppi di muscoli, vasi sanguigni e nervi. Essa unisce alcune strutture, mentre permette ad altre di scivolare una sull’altra. Le fasce sono quindi strutture flessibili capaci di resistere a grandi forze di tensione e di trasmettere in tutto il corpo la tensione meccanica generata dalle attività muscolari o anche da forze esterne.
Recenti ricerche suggeriscono addirittura che la fascia sia in grado di contrarsi in modo indipendente, e pertanto il suo ruolo nelle dinamiche muscolari sarebbe tutt’altro che passivo. Nella Medicina Tradizionale Cinese la fascia viene considerata come il “letto fluviale attraverso il quale i meridiani conducono il Qi” (il che non stride per nulla con la nostra visione anatomica).
Questo particolare può fornirci un ulteriore elemento di riflessione sui meccanismi biomeccanici che sovrintendono la struttura del “corpo Taiji” e sopratutto l’emissione di forza tipica della nostra disciplina: poco impegno muscolare, grande coinvolgimento di legamenti e tendini, ma anche forte coinvolgimento della fascia connettivale come elemento di interconnessione fra le varie parti della struttura corporea. Può anche essere meglio compreso in che modo una forza entrante (ad esempio la spinta di un avversario) possa essere assorbita attraverso il rilassamento e il radicamento per essere poi restituita elasticamente sfruttando il principio di tensegrità, il meccanismo di “compressione/tensione elastica” nel quale la fascia ricopre un ruolo molto importante.
Articolo molto ben scritto! Anche io sono un praticante di taiji (e un ingegnere) e condivido appieno le conclusioni dell’articolo. Mi permetto di aggiungere che nel taiji non solo si sfrutta la forza del terreno attraverso la tenso struttura del corpo ma si riesce anche a produrre un onda di “accelerazione” (usando il corpo come una frusta si riesce a produrre una notevole variazione della quantità di moto che risulta in una notevole forza meccanica)
Assolutamente d’accordo. Grazie per il commento.
Sono un praticante attento di taijj, riconosco tante cose interessanti nell’articolo, manca sempre qualcosa! La cosa che non sono d’accordo è che si evince che la forza elastica debba essere veloce, nello stile Yang e negli stili Interni in genere si può esprimere con altre qualità, lento continuo ed omogeneo. Poi sono sempre dell’idea che dietro le belle parole ci debba essere una sostanza, e per sentirla bisogna appoggiare i polsi. Sono disponibile ad un pacifico confronto per poter crescere nella pratica..
Nessun articolo e neanche nessun libro può essere esaustivo nello spiegare cosa sia la “forza” impiegata nel Taiji e nelle altre arti marziali interne. L’articolo vuole soltanto aprire un piccolo spiraglio su un argomento complesso, impiegando un linguaggio “medio”, che possa conciliare la teoria tradizionale del Taiji con la scienza. Non pretendo di esserci riuscito pienamente.
Detto questo, vorrei dire che, come ben sanno tutti i praticanti, nel Taiji vengono teorizzate, generalmente, otto tipi di “energia” (Peng, Lu, Ji, An, Lie, Zhai, Chou, Kao) che rappresentano modalità distinte per “sapore”, “intensità” e “direzione” della forza interna. Nello stile Chen, però, ne vengono indicate delle altre (Chan, You, Lian, Sui, Teng, Shan, Zhe…) e se prendiamo un testo di riferimento come quello di Yang Jwing-Ming (Taichi: Theory and Martial Power) possiamo vedere che c’è chi si è preso la briga di fare una classifica dettagliatissima delle tipologie di JIN, indicandone ben 56.
Il discorso però, di questo passo, tenderebbe a diventare “accademico” e non ci porterebbe da nessuna parte.
Il punto, piuttosto, è questo: nel Taiji vi è un utilizzo estremamente vario nell’uso della “forza interna”, quest’uso può essere lento o veloce, a seconda della situazione (e del livello del praticante).
La forma, il tuishou ed anche il sanshou prevedono espressioni lente, generalmente difensive, del Jin. L’emissione di forza (Fajin) però è sempre veloce, e quando dico veloce non faccio riferimento al movimento “apparente” degli arti o del corpo, ma soltanto all’emissione energetica. E per esperienza personale, avendo praticato per anni, oltre al Chen, anche lo stile Yang, così come il Bagua, lo Xingyi e l’Yi Quan, oserei dire che… è sempre così. Grazie per il commento.
Grazie per la risposta che ritengo più completa, nel mio singolare percorso ho praticato con tutti i maestri che tu mensioni, che sono stati utili ma non risolutivi. Ho sperimentato di persona quanto sia difficile il taijj sopratutto per chi non pratica tutti i giorni, ho studiato per anni in modo molto profondo peng, l’u, ji, an, da solo con la forma, in coppia con il tui shou ed il San shou è mi permetto di dire che se manca questa tecnica non si può chiamare stile interno o taijj. Bisogna però sapere se le informazioni ricevuti in merito alle traduzioni siano coerenti e corretti perché io ci sono arrivato dopo venti anni di pratica. Peng non è parare, ma pieno, rotondo, elastico connesso……….. Lu, capacità di assorbire la forza dell’altro facendolo cadere in un vuoto dentro o fuori del corpo… Ji, entrare come acqua e riempire ogni spazio vuoto per dominare l’avversario…….. An, controllare pacificamente ed accompagnare con delicatezza il compagno dove lui indica la direzione. Io posso far sentire tutto ciò, parliamo la stessa lingua? Io quando ho trovato la strada ho praticato tanto ed ho studiato solo i classici del taijj, non ho letto tanto i libri di maestri famosi!
Non ho competenze linguistiche nella lingua cinese quindi i libri che ho letto sono tutti in traduzione (italiano, inglese, francese e spagnolo). Concordo pienamente sulla pratica quotidiana e sulla dimensione della ricerca personale. Per quanto riguarda la traduzione delle singole forze, ho letto molte definizioni diverse, che ne colgono particolari sfumature, a seconda della lingua. Personalmente non mi appaga la sola lettura dei classici del Taiji, alcune definizioni possono risultare fuorvianti anche nella versione originale per un madrelingua. Per questo motivo cerco di approfondire il Taiji non disdegnando una prospettiva di tipo occidentale che fa riferimento alla scienza, per comprendere meglio i corretti atteggiamenti strutturali, la bioelasticità, le reazioni vincolari del terreno legati a rilassamento e radicamento, la trasmissione degli impulsi neuromotori, ecc.
Questo approccio piace anche a molti giovani maestri cinesi, alcuni dei quali si sono presi la briga di seguire dei master in Occidente, proprio per rileggere la saggezza “tradizionale”… con occhi nuovi.
Buona pratica.
Grazie per la risposta che ritengo più completa, nel mio singolare percorso ho praticato con tutti i maestri che tu mensioni, che sono stati utili ma non risolutivi. Ho sperimentato di persona quanto sia difficile il taijj sopratutto per chi non pratica tutti i giorni, ho studiato per anni in modo molto profondo peng, l’u, ji, an, da solo con la forma, in coppia con il tui shou ed il San shou è mi permetto di dire che se manca questa tecnica non si può chiamare stile interno o taijj. Bisogna però sapere se le informazioni ricevuti in merito alle traduzioni siano coerenti e corretti perché io ci sono arrivato dopo venti anni di pratica. Peng non è parare, ma pieno, rotondo, elastico connesso……….. Lu, capacità di assorbire la forza dell’altro facendolo cadere in un vuoto dentro o fuori del corpo… Ji, entrare come acqua e riempire ogni spazio vuoto per dominare l’avversario…….. An, controllare pacificamente ed accompagnare con delicatezza il compagno dove lui indica la direzione. Io posso far sentire tutto ciò, parliamo la stessa lingua? Io quando ho trovato la strada ho praticato tanto ed ho studiato solo i classici del taijj, non ho letto tanto i libri di maestri famosi!
Sono d’accordo con te nel sostenere che chi ha lavorato bene in occidente, ma non credo siano tanti, possono dire la loro nel mondo del taijj. Concordo con te anche sul fatto che classici e scienza possono, oserei debbono andare insieme. Ho collaborato con diversi medici fisiatra principalmente per capire ed applicare un principio corretto ad un movimento. Il mio primo obbiettivo, l’esercizio non deve fare male, il secondo, deve migliorare man mano si va avanti. Buona pratica.